CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA 
                          Sezione I penale 
 
    riunita in camera di consiglio e composta dai signori: 
        dott. Luca Ghedini - Presidente relatore; 
        dott. Anna Mori - consigliere; 
        dott. Luisa Raimondi - consigliere; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza  nel  procedimento  camerale
riguardante G. O. nato il ... in Moldavia; destinatario di mandato di
arresto europeo emesso  dall'Autorita'  giudiziaria  rumena  (Pretura
di ...) in data 13 febbraio 2012. 
    Presente. 
    La Corte si pronuncia all'esito della camera di consiglio,  sulle
conclusioni in atti riportate  del  Procuratore  generale  presso  la
Corte e della Difesa del «consegnando». 
    Con sentenza emessa il  7  luglio  2020  la  Corte  d'appello  di
Bologna  ha  disposto  la  consegna  del  cittadino  moldavo  G.   O.
all'Autorita'  giudiziaria  della  Repubblica  di  ...,   in   quanto
destinatario di un mandato di arresto europeo esecutivo emesso  dalla
Pretura di ... il 13 febbraio 2012 sulla base dell'ordine n. 454/2011
di esecuzione di una condanna definitiva alla pena di anni cinque  di
reclusione, irrogatagli dalla Corte di appello di... con sentenza del
10 febbraio 2012 per i delitti  di  evasione  fiscale  e  conseguente
appropriazione indebita delle somme dovute  per  il  pagamento  delle
imposte sui redditi e dell'IVA, quale socio unico  ed  amministratore
della societa' «...» S.r.l. nel periodo ricompreso  fra  il  mese  di
settembre 2003 e quello di aprile del 2004. 
    Con sentenza del 16 settembre 2020  la  Corte  di  cassazione  ha
annullato la sentenza della Corte territoriale, affinche' la Corte di
rinvio: 
        a) valutasse l'opportunita'  di  sollevare  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 18-bis della  legge  22  aprile
2005, n. 69, nella parte in cui non prevede  il  rifiuto  facoltativo
della consegna del cittadino di  uno  Stato  non  membro  dell'Unione
europea che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora
nel territorio italiano, sempre che la Corte di appello disponga  che
la pena  o  la  misura  di  sicurezza  irrogata  nei  suoi  confronti
dall'autorita' giudiziaria di uno Stato  membro  dell'Unione  europea
sia eseguita in Italia conformemente al  suo  diritto  interno,  gia'
oggetto di ordinanza di rimessione del 4  febbraio  2020,  n.  10371,
della stessa Corte di Cassazione; 
        b) inoltre, nell'ipotesi  in  cui  le  circostanze  di  fatto
inerenti al dedotto radicamento territoriale fossero state oggetto di
un positivo accertamento, la Corte distrettuale  dovra'  prendere  in
esame la questione di costituzionalita' dell'art. 18-bis, lettera c),
cit., anche in relazione  al  connesso  parametro  normativo  di  cui
all'art. 19, comma 1,  lettera  c),  legge  cit.,  stante  la  natura
contumaciale della sentenza di  condanna  emessa  nei  confronti  del
ricorrente: proprio in forza di tale ultima  disposizione  egli,  ove
condannato dallo Stato di emissione all'esito della rinnovazione  del
giudizio, potrebbe beneficiare della garanzia - ivi prevista  per  il
cittadino o  per  il  residente  dello  Stato  italiano,  quand'anche
cittadino di uno Stato terzo - relativa alla clausola di  rinvio  per
la esecuzione della pena, eventualmente pronunciata, presso lo  Stato
membro richiesto, ossia in Italia, quale Stato di  esecuzione,  cosi'
come dalla difesa prospettato in  via  subordinata.  Nell'ordinamento
dello Stato di emissione, infatti, la persona richiesta  in  consegna
per  essere  sottoposta  ad  una  pena  derivante  da  una   condanna
pronunziata «in absentia» puo', su sua richiesta formulata  ai  sensi
dell'art.  466  del  codice  di  procedura  penale   romeno,   essere
nuovamente giudicata dalla stessa Corte che ha  emesso  la  condanna,
comparendo personalmente in giudizio. 
    Osserva la Corte,  all'esito  dell'odierna  udienza,  come  debba
essere  sollevata  eccezione  di  costituzionalita',   alla   stregua
dell'ordinanza emessa dalla stessa Corte di Cassazione  e  richiamata
in narrativa. 
    Nel corso del giudizio svoltosi davanti alla prima Corte, invero,
la difesa del consegnando ha adeguatamente fornito la  prova  di  uno
stabile radicamento familiare e lavorativo sul territorio nazionale. 
    L'art. 4, punto  6,  della  decisione  quadro  2002/584/GAI,  nel
regolare  i  motivi  di  non  esecuzione  facoltativa   del   mandato
«esecutivo», stabilisce che l'autorita'  giudiziaria  dell'esecuzione
puo' opporvi un rifiuto «se il mandato  d'arresto  europeo  e'  stato
rilasciato ai fini dell'esecuzione di una pena o  di  una  misura  di
sicurezza privative della  liberta',  qualora  la  persona  ricercata
dimori nello Stato membro  di  esecuzione,  ne  sia  cittadino  o  vi
risieda, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena  o
misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno». 
    Con riferimento alla causa di rifiuto or ora menzionata,  dunque,
il legislatore europeo ha fatto riferimento, in linea generale,  alla
«persona ricercata» e non ha differenziato la posizione del cittadino
da quella del «residente non cittadino», dato che l'esecuzione  della
pena nello Stato richiesto della consegna, anziche' in  quello  della
condanna, e' prevista non per il riconoscimento di un  privilegio  in
favore del cittadino, solo eventualmente  estensibile  al  residente,
ma,  come  gia'  posto  in  rilievo  nella  su  citata  ordinanza  di
rimessione di questa Corte, per consentire alla pena di svolgere  nel
migliore dei modi la funzione di  risocializzazione  del  condannato,
rendendo possibile  il  mantenimento  dei  suoi  legami  familiari  e
sociali  per  favorirne  un   corretto   reinserimento   al   termine
dell'esecuzione: funzione, questa, che, come si  vedra'  meglio  piu'
avanti, non tollera distinzioni tra il cittadino ed il residente. 
    Le medesime ragioni sono alla base della connessa disposizione di
cui all'art. 5, n.  3,  della  suddetta  decisione-quadro,  che,  nel
regolare un complesso di garanzie che lo Stato emittente deve fornire
in  casi  particolari  allo  Stato  di  esecuzione,  stabilisce,  con
riferimento all'ipotesi di m.a.e. processuale,  che  «se  la  persona
oggetto del mandato d'arresto europeo ai fini di un'azione penale  e'
cittadino o residente dello Stato membro di esecuzione,  la  consegna
puo' essere subordinata alla condizione che la persona,  dopo  essere
stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro  di  esecuzione  per
scontarvi la pena». 
    L'enunciato normativo, infatti, e' sostanzialmente sovrapponibile
a quello  che  il  legislatore  europeo  ha  utilizzato  nella  prima
disposizione,  non  essendovi  alcuna  differenza  fra  «la   persona
ricercata» e «la persona  oggetto  del  mandato  d'arresto  europeo»,
laddove alcun rilievo puo' attribuirsi, per i fini  qui  considerati,
alla  limitazione  soggettiva  della  garanzia  in  favore  del  solo
cittadino o residente dello Stato di esecuzione  e  non  anche  della
persona che vi dimori. 
    Una volta introdotto il  corrispondente  motivo  di  rifiuto  nel
nostro ordinamento,  dunque,  non  puo'  irrazionalmente  limitarsene
l'applicazione  ai   soli   cittadini   e   residenti   «comunitari»,
escludendola tout court per i residenti o dimoranti «non comunitari»,
se non a condizione di trasporre solo  una  porzione  del  contenuto,
generale  ed  onnicomprensivo,  della  norma   euro-unitaria,   cosi'
eludendo l'obbligo di rispettarne fedelmente i vincoli di adeguamento
ai sensi degli articoli 11 e 117, comma 1, della Costituzione. 
    Per il mandato «processuale» di arresto, infatti, si  ammette  la
possibilita' di esecuzione della pena in Italia anche per i cittadini
di Paesi terzi che vi risiedano, mentre la si esclude per il  mandato
di arresto «esecutivo» emesso nei confronti  della  medesima  persona
richiesta in consegna. 
    Rientra nella discrezionalita' degli  Stati  membri  decidere  se
attuare  o  meno  i  motivi  di  rifiuto  a   carattere   facoltativo
contemplati dalla norma «esterna» della decisione quadro, ma  qualora
essi  li  traspongano  nei  rispettivi  ordinamenti  interni   devono
attenersi al contenuto  dell'atto  di  diritto  derivato  e  lasciare
all'autorita'  giudiziaria  nazionale  la  facolta'  di  scelta   nel
vagliarne la concreta operativita' nel caso di specie. 
    Nessuna distinzione basata sulla nazionalita' del ricercato viene
presa in considerazione, gia' in sede di relazione illustrativa della
proposta, per individuare sul piano soggettivo la  persona  richiesta
in consegna nell'ambito della nuova procedura di cooperazione. 
    Al contrario,  la  formulazione  letterale  della  norma  dettata
nell'art. 18-bis cit. esclude, sic et simpliciter, che  il  residente
non cittadino di uno Stato membro dell'Unione possa scontare la  pena
nel nostro Stato, anche qualora egli dimostri di aver acquisito saldi
legami  di  natura  economica,  professionale  o  affettiva  nel  suo
territorio, ponendosi in tal modo al di fuori della ratio ispiratrice
e della lettera disciplina delineata  nell'impianto  normativo  della
decisione quadro. 
    Ne  consegue  una  attuazione  ingiustificatamente   parziale   e
limitativa dell'ampiezza degli obiettivi perseguiti  dal  legislatore
europeo con l'omologa disposizione normativa della decisione  quadro,
in  contrasto  con  l'esigenza  di  rispettare  le   limitazioni   di
sovranita' necessarie per lo sviluppo dell'Unione e gli  obblighi  di
conforme adeguamento derivanti dall'ordinamento euro-unitario secondo
quanto dispongono gli articoli 11 e 117, comma 1, della Costituzione.
6. 
    Sotto altro, ma connesso profilo, deve rilevarsi l'assenza di una
ragionevole giustificazione a sostegno della scelta normativa  legata
alla diversita' di trattamento della posizione del cittadino  di  uno
Stato terzo al quale viene del tutto preclusa,  in  caso  di  mandato
«esecutivo» ex art. 18-bis cit., la possibilita' di beneficiare di un
rifiuto della consegna nella prospettiva della finalita'  rieducativa
della pena la cui esecuzione egli verrebbe a scontare nello Stato  di
residenza. 
    L'obiettivo della «reintegrazione sociale», come riduzione  degli
effetti desocializzanti della  pena  detentiva,  non  ammette  alcuna
distinzione fondata sulla nazionalita' e costituisce senza dubbio uno
dei principali corollari del  principio  rieducativo,  trasfondendosi
addirittura nel  significato  stesso  che  tale  principio  viene  ad
assumere  in  relazione  alle  esigenze  di  individualizzazione  del
trattamento del condannato nella fase di esecuzione della pena. 
    Non  appare  dunque  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 18-bis, comma  1,  lettera  c),
della legge n. 69 del 2005, come introdotto  dall'art.  6,  comma  5,
lettera b), della legge 4 ottobre 2019, n. 117, nella parte  in  cui,
non prevedendo il rifiuto facoltativo della consegna del cittadino di
uno Stato terzo stabilmente  residente  o  dimorante  nel  territorio
italiano, non  ne  garantisce  il  diritto  al  rispetto  della  vita
familiare, per contrasto con gli articoli 2 e  117,  comma  1,  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 8 della  Convenzione
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali e all'art. 17, paragrafo  1,  del  Patto  internazionale
relativo ai diritti civili e politici, nonche' con gli articoli 11  e
117, comma 1, della Costituzione, in relazione all'art. 7 della Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea.